Irish Whiskey

Non accadeva da molto tempo, forse un anno. Ed era stata l’unica volta.
Ero da sola, in un ristorante lontano da casa e mi attendeva una cameretta solitaria in un albergo scelto a caso sull’elenco telefonico. Nessuna aspettativa, un semplice corso di perfezionamento, di quelli obbligatori.

Dovevo stare fuori da sola, per qualche giorno. Nessuna occasione migliore per meditare e scrivere.
Ricordo ancora la tovaglia a quadretti rossi e gialli del ristorante, quell’aria di familiarità e quel forte desiderio di coccolarmi che traspariva nelle espressioni degli anziani gestori del locale.

Per loro ero una figura triste perchè seduta ad un tavolo da sola, una ragazza giovane che chieveda per se stessa, in un ristorante della capitale. Chissà, forse per loro rientravo in una categoria rara.

A fine serata il figlio si avvicinò per offrirmi un bicchierino di Whiskey. Accettai per non offendere la loro gentilezza, non fui capace di dire che sono astemia da sempre.
Rimasi seduta fuori nell’aria pungente di fine aprile, con loro. Mi raccontavano la loro vita, la loro storia, la storia del loro ristorante, dei loro figli.

Di tanto in tanto osservavo quel bicchiere in cui si specchiava il mio essere sola e libera di pensare. Gioire o piangere, scrivere, dormire.
Aveva un sapore dolce quel liquore, ma lasciava -dopo- un che di amarognolo. Un pò come quella falsa libertà.

Stasera sono a casa, alle prese con un computer che non rispecchia alcuna poesia. Tra fogli e doveri.

Sono andata a cercare quella stessa bottiglia, nel mobile per gli ospiti. Ho qui con me un piccolo bicchiere in cui ho versato un pò di crema di Whiskey, come quella sera. E come quella sera è dolce, ma lascia un che di amarognolo, che si rispecchia nella semi-oscurità della stanza. Ed in più non mi consola alcuna falsa libertà.

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