Signor Ugo
Nel fresco del mattino camminate lungo la striscia verde di erba sacrificata dal cemento di una città che lentamente occupa ogni spazio che apparteneva alla vita semplice.
Si fa sempre più serio il vostro volto, segnato dal passaggio delle emozioni. Sempre più cupi i vostri occhi, stanchi di osservare un’umanità che ormai vi ignora.
Tremano le vostre mani, poggiate ad un bastone che vuol farsi ricordo di una gita sull’alta montagna. Un bastone nodoso e solido, l’unico punto fermo di un passato che comincia a vacillare nella Vostra mente.
Un cupo spavento si palesa nel vostro tremore: la dimenticanza. Poche parole ormai, misurate, quasi a scongiurare una possibile fallacia che vi confermi ciò che più temete.
Vostra moglie, a casa, ormai non vi riconosce ad ogni vostro ritorno. Non vi cinge con le amorose braccia di un tempo, non vi dona più dolci sorrisi d’amore, non poggia dolcemente il capo sulla vostra spalla per parlar dei tempi lontani. Vi teme, come un estraneo, e si interroga su chi voi siate ogni volta che incontra la vostra figura.
La crisalide del vostro amore vi spaventa, perchè non vi può nascere più alcuna farfalla: la memoria si è fatta urna di cristallo, sepolcro silenzioso ove si appresta ad assopirsi la vostra sposa.
Tremano le vostre mani, tacciono le vostre labbra, muto è lo spavento ogni volta che pensate di percorrere la strada bianca dell’inarrestabile dimenticanza.