Airone

Il sole si alzò lentamente, quasi contro voglia, aprendo gli occhi in una mattina di primavera, quando l’aria pizzica la nuova erbetta per farla svegliare.
Avevamo da poco lasciato alle nostre spalle Monsummano e la strada si faceva sempre più deserta, le case si diradavano e noi continuavamo il nostro viaggio, mentre la Natura ci veniva incontro quasi porgendoci la mano.
Era una sua promessa: se avessi avuto una buona pagella avremmo fatto una gita in “Padule”. Così in aprile, pochi giorni dopo il mio sedicesimo compleanno, mio padre bussò alla porta di camera alle cinque di mattina, in un baleno mi preparai e scesi le scale, correndo verso la macchina.

Non avevo mai visto il “padule”, se non nelle poche illustrazioni di vecchi libri di caccia. Non sapevo quali colori avesse, nella mia mente immaginavo tutto in bianco e nero, come le fotografie di una volta… anche le storie che ascoltavo e provavo ad immaginare chiudendo gli occhi, erano tutte in bianco e nero… come film di un tempo passato.
Quella mattina i miei films avrebbero preso colore: la strada, che si era fatta sterrata, nel chiarore della mattina risaltava marrone, tra il verde scuro del fossato ed il chiaro degli alberi che, sempre più lontani alla nostra sinistra, erano illuminati dai primi raggi di sole.

Lasciata la macchina ci incamminammo sull’argine. Era un nuovo mondo che profumava d’antico, aveva l’odore del legno d’ulivo che bruciava nei focolari ai tempi delle veglie d’inverno…
Accanto a noi i cespugli di biodi e canneggiòle sembravano nascere da un velo di nebbia che si era adagiata sulle acque del canale. Camminammo per un po’ di tempo fino a che non raggiungemmo un piccolo porticciolo dove, seminascoste dai giunchi, sostavano alcune barchette.
– Saliamo sull’ultimo barchino – disse mio padre – Ma cerca di non muoverti perché viaggiamo a filo d’acqua. Non fare rumore, altrimenti non si faranno vedere –. Cercai di seguire i suoi suggerimenti ed iniziammo a navigare nel canale.

Non avevamo altro intento che osservare silenziosi un mondo lontano, eppure a pochi passi dalla città. Mio padre, con l’esperienza da “vecchio” cacciatore, mi indicava i vari tipi di piante, le tracce lasciate dai vari uccelli, i voli dei germani e delle folaghe e, mentre scrutava il cielo, il sole disegnava sulla sua fronte quelle rughe che il tempo non ha mai potuto scolpire.

D’improvviso il barchino entrò in un piccolo varco tra i cannicci ed il verde si aprì, come un sipario, su una creatura alta ed elegante. Era quasi un metro, ma a noi, seduti a filo d’acqua, sembrava ancor più slanciata; le sue piume erano di un grigio azzurro, contornate di nero ai lati del petto e vicino agli occhi, come se un pittore avesse voluto definirne meglio i lineamenti. Si volse verso di noi muovendo appena il lungo collo, ma non fuggì, rimase ad osservare…
– Babbo, che animale è questo? – chiesi sottovoce,
– E’ un airone cenerino – mi rispose
Intanto quella splendida creatura continuava a studiarci, senza fuggire.
– Perché è qui, si sarà perso? Credi che sia ferito? –
– No – disse ridendo – L’airone vive dove c’è acqua, è un animale di palude, questo è il suo ambiente, anche se dal tempo della bonifica ormai non se ne vedono quasi più –.

Non chiesi altro e rimasi ad osservare l’airone che continuava a scrutare ora la terra, ora il cielo.
– Ricordi quando da piccola la domenica mattina ti portavo al Tettuccio? – chiese improvvisamente mio padre – Correndo attraversavi l’ingresso e salivi verso il Regina, poi ti fermavi davanti alla fontana, anche per mezz’ora, e volevi sempre che ti raccontassi la leggenda dell’airone e della rana –.
– Non la ricordo – risposi – Che cosa diceva? –
Mio padre sorrise, poi si sedette pian piano sul barchino ed iniziò il suo racconto.

– Un tempo Montecatini e tutta la Valdinievole erano una zona paludosa. Le acque zampillavano liberamente dalle sorgenti e si raccoglievano in fossati per poi ristagnare, formando acquitrini salati. Quello era il paradiso di animali come l’airone e la rana, come i germani, gli svassi, … ma era anche il regno della malaria.
Proprio per combattere questa malattia e rendere vivibili queste terre ricche di acque curative, il Granduca Leopoldo di Lorena si impegnò nella bonifica e nel risanamento di tutta la nostra zona.
Bonificare vuol dire togliere terreni alla palude per renderli asciutti, così gli animali palustri furono costretti a migrare perché non avevano più cibo né luoghi dove nidificare. Le acque delle sorgenti furono incanalate e distribuite nei vari stabilimenti, e quelle in eccesso furono fatte confluire nel Salsero, il rio salato.

Da terreno paludoso Montecatini divenne luogo di cura, e successivamente furono costruiti anche grandi alberghi e strutture per il soggiorno e l’intrattenimento. Verso la fine degli anni venti tutta la città subì un’opera di restauro e rinnovo degli stabilimenti termali e degli edifici. Proprio in questo periodo di rinnovo fu posta all’interno del Tettuccio, davanti allo stabilimento Regina, una fontana, raffigurante un airone nell’atto di prendere il volo, mentre una piccola rana schizza acqua verso di lui.

Probabilmente il Romanelli, quando ha creato la sua fontana, ha pensato ad una leggenda secondo la quale un giorno, sulle rive di un piccolo specchio d’acqua, si incontrarono un airone ed una rana. Fino a quando la valle era il regno degli aironi, predatori di rane, queste erano costrette a nascondersi sott’acqua, spaventate, per aver salva la vita. La bonifica cancellò il padule e l’airone, un tempo principe, fu costretto a migrare verso luoghi sconosciuti.
La rana, così, sentendosi sicura perché i piccoli specchi d’acqua rimasti erano a lei sufficienti, guardò l’airone ed iniziò a deriderlo, a farsi beffa di quel predatore ormai indifeso.
L’airone, rimasto per tutto il tempo in silenzio, improvvisamente si volse verso la rana e disse:
«Io sono sconfitto e tu che mi temevi ora mi deridi credendoti vittoriosa. Ma quando verrà l’estate l’acqua non sarà più sufficiente nemmeno per te, perciò non cantare la mia sconfitta ma cerca un rifugio».
La rana non ascoltò, continuò a beffeggiarlo ed a schizzare acqua verso di lui fino a farlo starnazzare dal solletico. L’airone, costretto a volare via, aprì le ali e spiccò il volo, alto nel cielo.

Venne l’estate ed il sole splendente cancellò anche gli ultimi specchi d’acqua. L’uomo intanto aveva coperto il Salsero per dare vita ad una città più elegante, e la rana, che aveva deriso l’airone, rimase sola, stremata, affamata, senza cibo e senza rifugio. Allora ricordò le parole dell’airone, ma era troppo tardi: i raggi del sole le avevano bruciato la pelle e la sua ultima dimora fu la cassetta di un netturbino incaricato di pulire il viale.

Intanto, in un lontano angolo del mondo, l’airone aveva trovato una nuova casa ed insegnava ai suoi piccoli a cacciare le rane –.
In quel preciso istante, quasi avesse aspettato la fine del racconto, l’airone si voltò di nuovo verso di noi e, dopo averci osservato sospettoso, piegò le zampe, si spostò all’indietro sollevando le ali e spiccò il volo, rimanendo elegantemente sospeso per alcuni istanti per poi volare poco più lontano.

– Babbo, come sono belli! – esclamai mentre lui, succhiando un filo d’erba che aveva accuratamente scelto in mezzo a quel tappeto verde, riprendeva a spingere il barchino verso il porticciolo.
– Sono le creature più liete del mondo, sentono giocondità e letizia più che alcun altro animale – rispose citando Leopardi.

Fu una gita fatta di silenzi e meraviglie, un tuffo in un mondo lontano e quieto, ove lotte interminabili per la sopravvivenza si svolgono in segreto, e l’uomo pare uno straniero; avevo a fianco mio padre, che, nascondendo un pizzico di soddisfazione, mi spiegava le meraviglie di una vita fatta di niente, se non d’acqua, di sole e cielo.

Pochi anni dopo, gli uomini e la vita si sono fatti beffa di mio padre, come la rana fece conl’airone, ed anche lui ha aperto le sue ali ed è volato vittorioso verso il cielo, lasciandoci l’ombra di dolci ricordi…

Da quel giorno non vi è angolo della pineta ove la mia mente non scorga un piccolo paradiso, ed il Tettuccio si è fatto tempio dei miei ricordi: … fra le sue colonne danzano fantasmi di un tempo passato, e … davanti alla fontana del Romanelli mi aspetta mio padre…

2001

 

 

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