Ricercatore

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Non si preoccupi, non serve alcuna impegnativa del medico è tutto già fissato.
Mi sono fidata, abbandonandomi passivamente nelle mani di quella persona vesta di bianco. Sono arrivata, in perfetto orario, a quasi 100 km da casa mia, in una clinica bianca e verde acqua, con residui di ruggine sulle impalcature.

Era una clinica per l’infanzia ma il macchinario per quel tipo di indagine è in poche regioni della Nazione, così eccomi qui: tra bambini che mi guardano come se fossi quacosa di strano.
Hanno occhi che osservano un mondo che non c’è, mani che non giocano come tutte le mani dei bambini, alcuni sono già grandi, solo il loro fisico continua a mostrare un’età diversa.

Anche tu vai nella bocca del mostro?
Mi chiede un testina dai capelli nero catrame. Ho sentito paura nelle sue parole, quasi l’apertura della RM fosse la bocca di un mostro che non lascia più uscire chi entra.
"Quale mostro?" Ho chiesto. Quello là. Ha risposto un ditino.
Gli ho sorriso, "Non è un mostro – ho risposto -  ma una grande lavatrice".
Ci lavano?
Si, ma senz’acqua.
Ma io non sono sporco!!
Ci lavano per renderci trasparenti e vedere che cosa c’è dentro di noi, se c’è qualche pezzo da sistemare…. come le revisioni delle macchine! – Ho provato a spiegare.
Non si sente dolore?
No, non preoccuparti. Anzi, facciamo così. Vado prima io e tu mi guardi dalla finestrina, così vedi se sento dolore.
Ok! – Ha risposto soddisfatta la testina catramata, e mi ha stretto la mano.

Ho cercato di prenderla come un gioco, come mi aveva insegnato quell’infermiera tanto simpatica, quando avevo la sua stessa età.
Ma era più facile allora, perchè non avevo imparato che cosa sono le remore, che cosa è la dignità.
Non sapevo che cosa fosse quella s
ensazione tanto odiosa che provavo quando gli occhi degli studenti di allora mi scrutavano. Per loro ero un esempio da manuale. Qualcosa da analizzare centimetro per centimetro.
Non sapevo che cosa fosse quell’imbarazzo misto a freddo che saliva lungo le gambe, mentre camminavo a piedi nudi sulle mattonelle chiare, che riflettevano la mia figura un pò distorta.

Adesso so dare un nome ad ogni sensazione, ho imparato a tradurre quello stato d’animo in italiano corretto, così da potervi illustrare il concetto, anche se non potete comprenderne il vero significato.

Allora, cari ricercatori, perdonate se sono un essere umano: Individuo di sesso femminile, età anagrafica 28 anni, nato pretermine e con le altre sigle di vostro interesse, che si muove rassegnato prendendo tra le mani la camicia verde sterile.
Perdonate se sono un essere umano e mi sento umiliata stando innanzi a voi vestita solo di slip, mentre indicate sulla mia pelle quello che per voi è imperfezione.

Perdonate se sono un essere umano, e sento il bisogno di chiudermi dentro la mia immaginazione, mentre il lettino scorre dentro i vostri macchinari che mettono a nudo le mie ossa, i miei fasci muscolari.
Mi chiedo se mai avete intravisto la mia anima, mentre eravate intenti a cercare dentro di me qualcosa che non ha ancora un nome.

Perdonate se sono un essere umano, con un cuore dietro lo sguardo. Un cuore che non si ferma ad una frequenza di pulsazione, ma abbraccia anche altri sentimenti che però non si possono trascrivere per opera di un poligrafo.

Perdonate se sono un essere umano.

Avrei voluto abbracciare quel bambino e cantare una ninna nanna per accompagnarlo in un sogno fatato. Cantare una formula magica, perchè al risveglio, potesse giocare lieto nei prati come tutti i bambini della sua età.

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